In sede di legittimità e in materia di misure cautelari reali, il sindacato del giudice deve essere limitato alla sola “verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato, senza sconfinare nel sindacato della concreta fondatezza dell’accusa”. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 24166 del 16 giugno.
A seguito di una complessa indagine investigativa, la Guardia di finanza ha inviato alla competente procura della Repubblica la segnalazione dell’esistenza di un’associazione a delinquere (416 codice penale) finalizzata alla commissione di plurimi reati in materia fiscale, tra i quali quello di indebita compensazione di imposta (articolo 10-quater del Dlgs 74/2000). Dell’associazione fanno parte diversi soggetti (sia le società di un gruppo sia gli imprenditori sia, infine, il consulente delle stesse società) che hanno provveduto a effettuare compensazioni indebite (utilizzando il modello F24) perché relative a crediti inesistenti, e hanno omesso il versamento di tributi per gli anni 2008, 2009 e 2010 per una somma superiore a 1 milione di euro.
In particolare, nei confronti del professionista, il Gip ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere e anche il sequestro preventivo di tre autovetture e numerosi immobili a lui intestati. Il sequestro è stato, poi, confermato, dal tribunale del riesame. E nonostante il professionista, deducendo in sede di legittimità la violazione dell’articolo 606 cpp, lettera b), abbia ritenuto che il sequestro preventivo era illegittimo poiché relativo a beni appartenenti a un soggetto del tutto estraneo al reato, la Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo, quanto alla legittimità e alla pertinenza del vincolo reale valutate dal giudice del riesame, che “si trattava di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria per equivalente di mobili ed immobili di proprietà …, ai sensi dell’art. 323 ter c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, fino alla concorrenza della somma dei tributi evasi, somma certamente superiore nel suo complesso ad Euro 1.000.000,00”.
Giova precisare che tale azione nei confronti del porfessionista, va valutata caso per caso,al fine di non creare un precedente che nei casi di accertate indebite compensazioni ,ed utilizzare il patrimonio del professionista per recuperare, imposte omesse che a nostro giudizio vanno richieste solo al contribuente che dovrebbe e deve restare l'unico responsabile delle proprie azioni ed evasioni.
Si legge nella sentenza di cui sopra che essendo il professionista a conoscenza delle omissioni, lui ne risponde come obbligato solidale, ma ciò a nostro giudizio non è corretto.
Il professionista, deve rispondere con il proprio patrimonio, solo in caso di appropriazione indebita o nel caso abbia tratto lucro o profitto dall'azione / evasione del contribuente.
Non si conosce il caso in questione nel dettaglio, ma si spera che gli organi preposti al controllo adottino le opportune cautele e facciano gli opportuni approfondimenti al fine di tutelare il professionista da ingiusti attacchi ,sequestri e azioni legali,che scoraggiano e deprezzano la professione di consulente, ove quest'ultimo invece è promotere della legalità e degli adempimenti tributari.
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venerdì 2 settembre 2011
compensazioni indebite paga il consulente
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